Spesso, in Italia, si tende ad agire il collocamento dei bambini fuori dalla famiglia a seguito di un episodio grave che ha comportato un pericolo per il bambino: un comportamento maltrattante, gravemente negligente o pericoloso agito dai suoi genitori o da un componente della famiglia.
Si tratta di provvedimenti che devono essere effettuati, a meno che non si tratti di una situazione di abbandono, dopo l’acquisizione di elementi gravi di rischio per la salute e sicurezza del bambino.
La valutazione dei tempi di intervento
In alcuni casi, il tempo che intercorre tra la rilevazione di questi elementi e l’allontanamento del bambino è molto, troppo breve, altre volte invece è troppo lungo. Perché?
Sia in un caso che nell’altro, il motivo potrebbe essere lo stesso. Si tratta di situazioni molto delicate che causano spesso angoscia e insicurezza nei professionisti che magari, con una formazione generale e non specialistica in tema di cura e tutela dei minori e di sostegno alla famiglia vulnerabile, rischiano di essere in difficoltà nella gestione dell’intervento, non sapendo cosa dev’essere fatto prima e cosa dopo e a capire come approcciarsi al bambino e alla sua famiglia.
Questa è la principale difficoltà che porta i professionisti a ritardare l’intervento di tutela con la cronicizzazione della situazione problematica o ad intervenire prematuramente senza l’acquisizione di tutti gli elementi utili ad una valutazione approfondita e ad orientare l’intervento di tutela nella sua massima efficacia.
Come si agisce in modo efficace per la tutela dei bambini e delle famiglie?
Per evitare che l’attuazione di un intervento di tutela dei bambini in condizioni di rischio sia dannoso per i bambini, nei modi e nei tempi e che in essi sia efficace, è possibile orientare il lavoro di decisione, intervento e aiuto del bambino e della sua famiglia attraverso alcuni indispensabili fasi che testimonino una competenza specialistica nell’approccio, nella tecnica, e nell’utilizzo di strumenti mirati.
In questo ordine dunque, una volta rilevati degli elementi di potenziale rischio per il bambino è necessario attivarsi per procedere alla definizione di
- Una diagnosi medica sul bambino.
Anche le più subdole forme di maltrattamento comportano dei segni e dei sintomi specifici, rilevabili sul bambino, attraverso delle valutazioni e indagini mediche, a volte strumentali (risonanza magnetica, tac, esami tossicologici..) in grado di evidenziare la forma e l’entità del maltrattamento, sia esso fisico e quindi con dei chiari segni “sulla pelle”, sia esso meno visibile agli occhi, come la trascuratezza o la violenza psicologica.
Chi si occupa di tutela dei minori non può esimersi dalla conoscenza dei segni, dei sintomi e delle conseguenze del maltrattamento sui bambini provocando un danno alla attuale, potenziale ed evolutivo alla loro salute, non per poterlo diagnosticare ma per poter essere in grado di intervenire preventivamente, in modo forte e mirato per gli interventi di cura e tutela del bambino, ma anche di aiuto della sua famiglia.
2. Una diagnosi sociale e familiare.
In associazione alla diagnosi medica sul bambino è necessario valutare in modo specialistico la sua famiglia.
Questa diagnosi viene dopo o contestualmente la diagnosi sul bambino. Mai può diventare l’unico elemento in grado di sostenere e motivare l’intervento di tutela. L’elemento fondamentale da studiare in questa fase, riguarda la storia familiare e in particolare l’anamnesi assistenziale dei genitori e del nucleo familiare allargato. Inoltre l’individuazione di precisi fattori di rischio e di protezione come definiti dalla letteratura specializzata, rimane un procedimento sostanziale che correlato all’anamnesi assistenziale ci permette di valutare il grado di ricuperabilità della famiglia, quindi quella che io chiamo prognosi assistenziale.
3. Una prognosi assistenziale.
Essa dovrebbe essere sempre prevista nel lavoro con le famiglie vulnerabili perché permette di valutare se e in quanto tempo sia possibile la riabilitazione della famiglia. Una previsione dei tempi è possibile solo se siano rispettati nel loro ordine i passi suddetti di valutazione.
Prevedere dei tempi dell’intervento e soprattutto di conclusione dell’intervento con la fuoriuscita della famiglia dal circuito assistenziale diventa un dovere realizzabile per i professionisti e presupposto essenziale per l’efficacia dell’intervento di tutela dei bambini e di aiuto delle famiglie.
4. Corrette modalità di coinvolgimento del bambino.
Non dimentichiamo mai che quando si agisce l’intervento di tutela, i bambini possono e devono essere coinvolti nelle decisioni.
Attraverso opportuni accorgimenti è possibile spiegare ai bambini cosa può accadere, quando e come, senza mai dare loro la percezione di avere la possibilità di decidere. Si tratta di un processo molto delicato e anch’esso di natura specialistica e per questo un aspetto che affronterò in un contributo dedicato nel corso delle prossime settimane.
Esso diventa il primo grande passo per l’obiettivo più importante che abbiamo: la salute ed il benessere dei bambini.
Le fasi di intervento
In conclusione dunque, in questo ordine, quando abbiamo di fronte una situazione di rischio per i bambini
- chiedere la collaborazione dei medici per valutare lo stato di salute del bambino e procedere alla valutazione medica
- mettere il bambino in protezione se viene effettuata una diagnosi di maltrattamento
- conoscere in modo approfondito la famiglia e procedere alla diagnosi familiare
- definire una prognosi assistenziale in grado di definire i tempi dell’intervento
- intervenire per la tutela del bambino
Dati i recenti argomenti di cronaca, offrirò nuovi spunti utili ad una riflessione professionale sull’argomento ma anche volti a rassicurare le famiglie sul ruolo dell’assistente sociale.
Studio Dromos è a disposizione per ogni richiesta di approfondimento.